Flag’s shoot

… vibrante di fili, che si agitano al passaggio, segnale dell’inequivocabile presenza disequilibrante dell’arte.
Questa struttura che si presenta come una scultura e come una dimora architettonica, abitata dalla luce, ma soprattutto come un modello razionalistico, offre la chiave per poter comprendere come sarebbe un errore attribuire alle opere di Marisa un significato puramente decorativo, legato al mondo talvolta ristretto della tapisserie: quasi tutte le creazioni dell’artista tendono, infatti, allo stravolgimento dell’apparato scenografico e bidimensionale, tipico dell’opera tessile, in una spazialità fenomenica, quasi di carattere barocco.
Superamento dei generi e ambiguità tra materiali industriali e superfici pittoriche, che sconfigge e supera il rischio retinico, in un’ironia quasi concettualistica. Grazie a questa componente ironica, l’opera è, nello stesso tempo, il risultato di un esperimento e la rappresentazione stessa di tale ricerca, in una sorta di cortocircuito temporale e di annullamento tra momento progettuale e manifestazione fenomenica, tra architettura razionalistica e sregolatezza artistica.
Regola e caso circondano lo spazio infinito del farsi e dell’esperirsi dell’opera, come è significativamente evidenziato nelle Cornici (1993), fasce quadrate che incorniciano il vuoto, la figura irrappresentabile dell’assenza. Rigidità del quadrato contraddetta dalla flessibilità del tessuto, ma ancor più: la tela del quadro emigra dal centro, facendosi margine, “marginale”, luogo di soglia e di limite tra interno ed esterno, tra realtà e virtualità, invertendone i termini. Al centro, nel vuoto quadrato, il quadro reale di questo vuoto di senso della nostra epoca; attorno, elegante cornice, l’esteticità diffusa di tutto ciò che “ci circonda”, ingannevole illusione dell’arte.
Opera recente tra le più significative è, a mio giudizio, la Cornice di lauro. Su trasparente e quasi invisibile supporto plastico, la grande cornice quadrata di foglie di lauro si presta a incoronare, con la pianta trionfale della poesia, l’illusione di immortalità dell’opera d’arte nel tempo della sua ennesima morte. Corona quadrata, splendido ossimoro per un’allegoria della vanitas artistica.
Sempre, in Marisa, questo intento di far oltrepassare la cornice, di far penetrare l’esterno nell’interno, l’interno nell’esterno. Piegare la superficie per mettere in luce la sua capacità generatrice di spazi reali e virtuali. Trasformare il tessuto in tela artistica, e la tela del quadro in tessuto abitabile, in spazio di coinvolgimento. Ma anche qualcosa di ancor più profondo, che sta oltre la dimensione esperibile con i sensi, e che si nasconde nel segreto stesso del procedimento costruttivo e costitutivo di quasi tutte le opere: il procedere per decomposizioni e ricomposizioni, per strappi, tagli, lacerature, e sovrapposizioni, cuciture, intrecci, suture, e il sottoporre, infine, questo materiale, che assume sempre nuove configurazioni, al nodo rinsaldante di un intervento pittorico. Germinazioni di colori all’interno delle piaghe-pieghe della superficie. Forbice, bisturi, ago di sutura, pennello: sul tavolo anatomico dell’opera la tela ricomposta mette in evidenza le sue estetiche, ma sofferte, cicatrici.

Ernesto L. Francalanci

Flag’s shoot, 1998; tecnica mista: tessuto da vele, cm 100X150, mutazioni di bandiera al vento.Per la mostra “Flag Biennalle” della “Textil Biennalle in Szombathely ’98”.

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